Voglia di corse e competizione. Nasce la serie D delle Lancia Sport.

Lancia D20

La Lancia Aurelia miete successi e altisonanti piazzamenti. Quello di Bracco, arrivato secondo alla Mille Miglia del 1951 dietro alla potente Ferrari di Villoresi, è strepitoso perché la sua Aurelia da due litri è pressoché di serie. Un documento interno alla Sala Prova Esperienze dimostra in modo inconfutabile che la sua vettura è stata messa a punto dalla Lancia stessa prima della partenza e presa in carico dopo l’arrivo. Questo risulta essere il primo documento che, di fatto, attesta l’Aurelia di Bracco come la prima Lancia ufficiale. In questi documenti sono fissati i test eseguiti sul motore prima e dopo la lunga e prestigiosa competizione e dimostra con dati precisi e dettagliati la perdita di soli tre cavalli di potenza massima erogata. Seppure l’obiettivo ufficiale, fortemente ribadito da Lancia, sia quello di esaltare l’immagine delle sue vetture per raffinatezza ed eleganza, in realtà queste macchine da teatro vincono e convincono nelle gare. Il tarlo delle corse comincia a rodere e a sgretolare gli ultimi baluardi di resistenza che la tradizione di famiglia tiene fin da quando è nata la storia di Lancia Automobili. È sempre stato tassativo e bandito il mondo delle corse, consapevoli in regia degli enormi investimenti che questo potrebbe comportare. Ma Gianni Lancia cede a queste ammalianti ed eccitanti emozioni, vedere le sue macchine vincere lo esaltano e la scarica di adrenalina che ad ogni vittoria lo travolge, finisce per rapirlo irrimediabilmente.

Le vittorie assolute e gli importanti piazzamenti ottenuti dai privati (alcuni aiutati forse di nascosto dalla Lancia), convincono Gianni a costruire una vera e propria macchina da corsa, capace di battere anche il potente Cavallino di Maranello. Nel 1952 costituisce un gruppo di tecnici di altissimo valore per battezzare il progetto di una vettura da competizione che li terrà impegnati per degli anni: Vittorio Jano dirige lo sviluppo e coordina gli altri collaboratori, Ettore Zaccone Mina si occupa dello sviluppo del motore con il sostegno di Francesco De Virgilio, Luigi Bosco ha il compito di sviluppare cambio e trasmissione, Francesco Faleo progetta autotelaio e sospensioni ed infine Giuseppe Gillio collauda la vettura.

Nel frattempo la neonata Scuderia Lancia miete successi e fa esperienza in campo sportivo con l’affermata Aurelia B20.

Felice Bonetto vince alla Targa Florio spingendo la sua Lancia B20 fino al traguardo

Bonetto alla Targa Florio del 1952 compie un’impresa eroica spingendo la sua vettura per prima al traguardo, poiché rimasta a secco di benzina. Le vittorie di Valenzano e Paltrinieri, primi assoluti al Sestriere, e di Bracco con il Conte Lurani, primi di classe alla 24 ore di Le Mans, sono tonanti a livello mediatico.

Umberto Maglioli conclude al quarto posto la massacrante Carrera Panamericana dimostrando affidabilità e velocità in una competizione durissima, snodata in oltre tremila chilometri dislocati ad altitudini e con temperature molto diverse fra di loro. La sua Aurelia, l’unica giunta al traguardo fra quelle iscritte dalla Lancia, è dotata di compressore volumetrico a lobi tipo Roots posizionato sopra il V dei cilindri. Con questa soluzione, ostinatamente e fortemente voluta da Vittorio Jano e studiato ed applicato da Francesco De Virgilio, riescono ad usufruire a pieno dei cavalli disponibili proprio in quelle situazioni ove un motore tradizionale ne perde molti, specialmente in alta quota. L’impiego del compressore volumetrico permette di raggiungere i 150 cv a 5500 giri con valori di coppia eccezionali anche a bassi regimi. Di contro però il mantenimento della cilindrata base mette in crisi l’equilibrio termico del motore causato da carenze di sistemi di raffreddamento. Il quarto posto è comunque di buon auspicio per le prossime competizioni, considerato anche che il risultato è stato ottenuto dall’Aurelia che raggiunge al massimo la velocità di 215 km/h contro i 260km/h di molte altre vetture con essa in gara.

Carrera Panamericana 1951

Finalmente, all’inizio del 1953 debutta la D20 alla Mille Miglia. La creatura dal cuore sportivo voluta da Gianni Lancia, è dotata di motore 6 cilindri a V di 60° di quasi tre litri. L’opera è nata e creata grazie alle doti tecniche di De Virgilio per l’evoluzione sportiva dell’Aurelia il cui progetto del 6 cilindri a V, primo al mondo con questa configurazione, è base teorica e pratica di riferimento per il nuovo progetto, alle competenze di Zeccone Mina, Faleo e Bosco per lo sviluppo totale della serie D e alla messa a punto nei collaudi di Gillio che ha reso la potente vettura sportiva un’automobile docile, affidabile e facile da guidare.

Lancia D20 a Monza

La carrozzeria in alluminio sottile (0,8 e 1,2mm) è verniciata con i colori della Scuderia Lancia, prevalentemente blu e color avorio sulla capotta fino alla coda e sulla parte centrale del cofano. Solo successivamente sarà adottato il color celeste abbinato a fasce su parafanghi e cofano di altro colore atto a distinguere le vetture in gara. Per le gare internazionali il colore impiegato è il rosso, così come da convenzione per indicare le vetture di nazionalità italiana, ma il rosso si distingue da quello di Ferrari e Alfa per una tonalità più scura, quasi amaranto. Il frontale disegnato da Pinin Farina è dotato di una presa d’aria per il radiatore a forma di scudetto squadrato ed ha un tono particolarmente aggressivo che contrasta piacevolmente con la linea elegante e filante della berlinetta rendendola nel complesso molto gradevole alla vista. Molto curiosa è la realizzazione attorno a un fanalino posteriore di una feritoia di scarico aria di raffreddamento del radiatore dell’olio posizionato sul parafango posteriore destro.

Particolarità estetica della presa e scarico aria radiatore olio

Alla Mille Miglia vengono schierate tre D20, ma non sarà un esordio d’alloro perché le vetture di Maglioli e Taruffi sono costrette al ritiro, Bonetto invece conquista un terzo posto che fa ben sperare. Maglioli vincerà poi in Sicilia, prima al Monte Pellegrino e poi alla Targa Florio. Quest’ultima è la prima importante affermazione in una prestigiosa competizione della vettura sportiva di casa Lancia. Alla 24 ore di Le Mans le D20 partecipanti adottano un compressore volumetrico adeguato con un miglior sistema di raffreddamento, così come imparato dalle esperienze acquisite con l’Aurelia B20. Purtroppo i risultati non arrivano: tutte e quattro le vetture si ritirano e di Volumex non se ne parlerà più in Lancia per almeno trent’anni. Arriveranno altri successi a Monza con Bonetto e con Castellotti alla Catania Etna (vittoria assoluta) e alla Pontedecimo Giovi (vittoria di classe).

La Lancia D20 ottiene la sua prima importante vittoria alla Targa Florio, si riconosce il capo-collaudatore Gillio in cravatta e l’ing. vittorio Jano con la mano nel doppiopetto

A metà anno ’53 debutta l’evoluzione spider D23, creata sulla base di quattro delle otto D20 esistenti. Taruffi conquista il secondo posto assoluto alla Coppa delle Dolomiti dietro alla Ferrari di Marzotto. L’evoluzione risulta essere molto più competitiva e affidabile in termini di tenuta di strada e frenatura rispetto alla D20. Questa nuova vettura parteciperà con successo a diverse altre competizioni.

Lancia D23 alla Coppa delle Dolomiti del 1953

In estate, pochi mesi dopo, arriva anche la D24, nata da tre delle quattro D23 esistenti, che con i suoi 265cv eroga 50 cv più della D20. Sarà la vettura Sport più importante, ma ne racconterò le gesta alla prossima occasione. 

Lancia D24

Le D20 sono state prodotte in otto esemplari, solo quattro dei quali sono stati completati per le corse e uno impiegato come muletto. Le tre scocche rimanenti non sono mai state allestite e sono state demolite e distrutte ancora intonse una volta abbandonati i progetti di partecipazione alle gare sport.

Le quattro D20 complete e la vettura muletto sono state smantellate per creare le quattro D23. Di queste, tre sono state impiegate per la realizzazione della D24, la quarta è stata destinata al Museo Lancia fin dal 1955 ma poi verrà ceduta ad un collezionista. Nessuna delle D24 finì nel Museo Lancia, se ne interessò solo il Museo dell’Automobile di Torino. Veramente un peccato!

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